S p a r i z i o n i

Fotografie © Cristina Mesturini

File 04-07-17, 21 00 12

Nell’epoca della saturazione dei segni e della moltiplicazione degli atti invasivi, si sente forte la necessità di un percorso del togliere. Barthes sosteneva che la pittura è cancellazione: non rappresentazione, quindi, ma processo di sottrazione alla rappresentazione stessa. È tempo di sparizioni, per riportare la forma all’invisibile, all’indicibile.

 

“Beckett aveva scelto l’albero come unica scenografia del suo primo allestimento parigino di Aspettando Godot e ne aveva affidato la realizzazione a Giacometti: “Ci doveva essere un albero. Un albero e la luna. Siamo stati lì tutta la notte, con quell’albero di gesso, a togliere, abbassare, a fare i rami più sottili. Non andava mai bene, per nessuno dei due. E uno diceva sempre all’altro: ‘Forse’. Passa il tempo. Nessuno in sala, o sul palcoscenico, osa fiatare. Quando Giacometti si alza ha deciso. Attraversa il teatro, sale su un praticabile e guardando da vicino il proprio albero comincia a togliere un rametto dopo l’altro. Ogni tanto si ferma e grida a Beckett seduto laggiù nel buio della platea:

Giacometti – Adesso va meglio no?
Beckett – È perfetto. Adesso va proprio bene.
Giacometti – Un momento ancora. Aspetta… e così?
Beckett – Be’, così è perfetto.
Giacometti – Aspetta… Ecco.
Quando Giacometti fu soddisfatto, dell’albero era rimasto soltanto l’esile tronco. Dalla platea, dove i due si ritrovarono per fumare insieme, si vedeva una cosa striminzita e storta, una specie di niente della natura che a loro sembrò l’ideale”.

[Giorgio Soavi, “Il quadro che mi manca”, Garzanti 1986]

 

Fotografie © Cristina Mesturini