Posted on 9 aprile 2017
di Cristina Mesturini
Ci sono momenti in cui l’arrendevolezza è una risorsa importante che determina la sopravvivenza.
Si cambia forma in risposta al vento e alla pioggia, agili, elastici e flessibili come fili d’erba, senza opporre resistenza ma saldamente radicati nel terreno. E’ così che si supera la tempesta e si torna, poi, a svettare incontro al sole.
Makoto Sei Watanabe (Yokohama, Giappone, 1952), architetto, ha sviluppato una serie di installazioni che si avvalgono della tecnologia, ma si possono definire arte ambientale. L’intento è dare vita a una struttura artificiale che si muova come gli organismi viventi si muovono, in risposta all’ambiente. Il movimento si articola secondo le varianti infinite della mutevolezza del vento, libero ma mai casuale: si intuisce l’equilibrio che sottende le leggi naturali.
Fiber Wave (1994) è un’opera composta da una fitta moltitudine di aste sottili in fibra di carbonio, alte 4,5 metri di altezza. Quando il vento soffia, le canne ondeggiano dolcemente come l’erba di un campo; e la notte emanano una luce leggera, piccoli punti blu che danzano come una nuvola di lucciole. Il loro movimento complesso è multiforme e armonico allo stesso tempo.
All’apice di ogni asta è sistemato un chip che contiene una batteria ad energia solare capace di accumulare energia durante il giorno e restituirla di notte attraverso una luce tenue, emettendo lievi suoni in base all’intensità del vento. L’istallazione è in grado di rilevarne la forza, producendo così un movimento ondeggiante e un effetto luce/suono sempre diverso: il vento è ora visibile agli occhi, percepibile alle orecchie e sulla pelle. Spazi dinamici e sensorialità differenti che si realizzano attraverso la propria specificità, grazie al solo sfruttamento dell’energia naturale.
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Makoto Sei Watanabe
www.makoto-architect.com
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Posted on 2 aprile 2017
Spunti di riflessione
Michelangelo Pistoletto
Le orecchie di Jasper Jones
Minus Objects (1965-66)
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